venerdì 21 agosto 2009

pensieri di nene

Parole di fatica, di un cuore che parla e racconta la sofferenza. mi lasciano il fiato corto, una nostalgia nascosta che ogni tanto affiora dalla polvere. si può avere nostalgia della povertà?


"Carissimi,
il tempo cambia. Lo sento. Lo sento nell'aria del mattino e in quella della sera. Oggi mi sono svegliata all'alba nella mia stanza piena di spifferi e per la prima volta ho avuto freddo. Lo sento nei colori, nella foschia grigio-azzurra che vela l'orizzonte, che sfoca l'immagine impressionante delle invasioni fantasma abitate da milioni di nessuno che a notte si incendiano di luci come costellazioni di galassie vicine, sfumandone i contorni, rendendoli aerei, quasi di sogno. Lo sento nei vestiti che ci mettono di più ad asciugare e trattengono un gradevole aroma di umido cittadino, non so se mi spiego. Lo sento nelle strade spruzzare di pioggia al mattino. Lo sento nelle scuole che riaprono, nelle vacanze che finiscono, nelle divise dei collegi. Ma soprattutto, più che con i 5 canonici, lo sento con quel sesto senso che sempre più spesso mi sembra più reale e affidabile degli altri.
Non so, e' come se fosse iniziata l'attesa della discesa lenta ma inesorabile di quella cappa grigia e gravida di pioggia che d'inverno incombe letteralmente sulla città, succhiandole luce, aria e calore trasfigurandola nella brutta e triste immagine morta di se stessa. e che ad agosto per noi e' stato come un compagno di viaggio in più tanta e' stata, ora mi rendo conto, la sua influenza sulle nostre percezioni e sul nostro umore. Tutti mi dicono che no, che non e ancora ora, che l'estate e ancora lunga. Ma in me l'attesa e' iniziata. E anche dentro di me il tempo cambia. Cumuli di nuvole hanno silenziosamente cominciato ad accumularsi negli angoli. e io che ho una fede incrollabile nelle corrispondenze cosmiche, non posso non riconoscere una segreta corrispondenza tra tutte queste cose: la città che cambia faccia, io che entro nella nebbia e Luigi che muore.
Inutile dire che la notizia mi ha colpito profondamente. e mi e' venuta subito alla mente una cosa che ho letto in uno dei miei libri di antropologia: secondo gli Aborigeni australiani una persona non e' una monade chiusa delimitata dagli stretti confini del suo corpo; una persona e' il suo corpo, certo, ma anche quello che possiede e che più lo denota, e soprattutto le persone che ama. cosi che succede che quando una di queste gli viene meno per qualche motivo, non e' qualcosa di aggiunto, di superfluo
che perde, ma un arto, un organo, un pezzo della sua persona, appunto. rimane come menomato, insomma, e tutto il resto del suo sé deve imparare a funzionare senza quel pezzo. mi sembra che questa immagine spieghi bene quel senso di mancanza, di dolore quasi fisico di quando ci viene tolta alla vista una persona che, magari anche solo per un momento, e' stata nostra insostituibile compagna di viaggio. "Nessun uomo e un'isola", siamo tutti legali da fili invisibile e potenti come il destino e quando uno di questi si rompe perche il Mistero ir-rompe, e' noi direttamente che tocca, che trasforma, che interroga. E' da noi che pretende risposte.
Ma non e' solo questo che, per cosi dire, ha fatto girare il vento dentro di me. E' come se d'improvviso, per la prima volta, percepissi una stanchezza che si trasforma in disorientamento.
Vi racconto un episodio per farvi capire di cosa parlo. l'altro giorno, durante una oziosa e piacevole chiacchierata con il dott. Coco e'venuto fuori, en passant, quasi di sfuggita come un particolare senza importanza, che Roy, il mio pupillo, lo gnomo con l'AIDS, non sta ricevendo il suo trattamento retro-virale perche le sue sorelle non lo portano all'ospedale come dovrebbero."Quanto gli resta dottore se continua cosi?","Non più di due anni". Bene,a questa risposta, che e' stata come un pugno dritto alla bocca dello stomaco e ha aperto dentro di me in un solo momento tutti i rubinetti dell'ansia, ho costretto il medico a lasciare dieci minuti l'ambulatorio per andare a bussare alla baracca di Roy e dire alla sorella le stesse cose che aveva detto a me. La ragazza stava in casa, giusto dietro la porta, sentivamo distintamente i passi, i movimenti dietro la sottile parete di compensato. E non rispondeva. Bussavamo e non rispondeva. Fino a quando Roy e' apparso sul tetto di lamiera ad informarci che"Mammina non sta in casa".
Abbiamo bussato a quella porta per i tre giorni successivi con lo stesso risultato prima che mammina avesse la compiacenza di mandare sua sorella minore ad aprire uno spiraglio. Coco le parla tranquillo ma diretto:"Se continua cosi Roy muore. E non tra 20 o 30 anni, come potrebbe, ma tra due, forse prima. E non e un'eventualità, e un fatto."
La risposta sussurrata ma categorica e stata"Si, ma noi non abbiamo tempo".
Ecco, questo e' il punto. Da qui viene la stanchezza che sento, capite? da questa frase secca, definitiva che suona come una condanna a morte senza appello a cui tutti, tutto sommato, sembrano essersi rassegnati placidamente. dalla rabbia che mi e salita alle mani e alla faccia, che mi ha indurito lo sguardo e stravolto l'umore. Dai colloqui quotidiani con le mie donne. Dalla sfilata interminabile di madri bambine, schive e sofferenti, con il loro modo laconico e sommesso di parlare, cosi profondamente rassegnate al loro futuro già compromesso a 15 anni da non vederne un altro e da togliere a me il fiato per la sensazione di claustrofobia.
Dal fiume di ambulanti di tutte le età, dagli infanti che muovono i primi passi, ai ruderi decrepiti che appena si reggono sulle gambe e che cercano di rifilarti qualsiasi cosa a cui e' possibile affibbiare un prezzo, dalle caramelle, alle uova di quaglia(o qualcosa di simile), dalle canzoni strappate a un violino scordato, a improbabili sketch comici improvvisati nel "passillo· di un autobus rigurgitante di gente sudata, dalla canna da zucchero tagliata a rondelle, ai quadrati di carta igienica, dagli orripilanti e macabri polli senza testa e coperti di mosche, alle pastiglie per il maldidenti sfuse.
dalla vista quotidiana dei cani morti che costellano le strade e sono lasciati allegramente marcire finche la Natura pietosamente provvede a risucchiarli.
Ecco, tutta questa sofferenza ma soprattutto, direi, fatica di vivere, e come se impercettibilmente, per osmosi, passasse dal mondo che mi circonda a me e a sera mi cascasse sul cuore e sugli occhi, come un mantello pesante di polvere. E mi interroga, mi chiede conto sempre piu pressantemente del mio stare qui. Le domande si moltiplicano e le risposte vacillano, si fanno più rade e incerte, si nascondono e tacciono. Non posso far altro che accettare questo procedere a tentoni e aspettare direttive." (ES)

Nessun commento: